All’inizio del ’94 arriva in Italia Magic L’Adunanza.

Presto tutti avrebbero fatto tappa in fumetteria e sarebbero usciti con uno “Starter Deck” e un paio di “Booster” a testa.

Mentre provavamo le nostre prime incerte partite in treno, tornando dal capoluogo al paese, ecco che ci ferma un tipo e ci chiede se volevamo scambiare delle carte.

Sembrava che tutti stessero giocando a Magic, o che stessero per farlo, e neanche potevamo immaginare cosa sarebbe accaduto nel giro di qualche mese.

Con il montare della primavera, e l’arrivo dell’edizione italiana, ogni scuola, ogni bar, ogni pianerottolo, di fatto ogni superficie piana si trasformò in un luogo per battaglie di Magic, e del resto era inevitabile, quel gioco aveva tutto: il fascino arcano dei tarocchi, la personalizzabilità dei giochi di ruolo, la collezionabilità e la possibilità di scambio delle figurine (ma con disegni fantasy!), la spietatezza degli scacchi, la sensazione tattile, le possibilità strategiche e l’effetto sorpresa dei giochi di carte classici, oltre che la portabilità dei mazzi e la rapidità della singola partita.

 Aveva anche una sorprendente aderenza forma-contenuto: le carte, divise in cinque colori che corrispondevano a diverse scuole di magia

rosso: il caos e gli elementi fuoco e terra;

bianco: l’ordine e il bene;

nero: il male e la morte;

verde: la vita e la natura;

blu: la magia e gli elementi aria e acqua

Avevano effetti coerenti col loro aspetto, e l’intero sistema mostrava una sua consistenza filosofica, col nero che si opponeva al verde e al bianco, il bianco opposto al nero e al rosso, il rosso che si opponeva al bianco e al blu, il blu contrario al rosso e al verde, il verde nemico del blu e del nero, in un sistema di incroci che le carte rendevano perfettamente, con effetti diretti nel gameplay.

C’era in ballo anche la questione della rarità. Non era solo il fatto che le carte erano divise tra “comuni”, “non comuni” e “rare”, senza che la rarità fosse necessariamente legata alla potenza della carta – un comunissimo “Fulmine” era certo più utile di un pur raro “Onulet”, ma ovviamente c’erano anche rare fortissime, e quindi ambitissime – ma c’era di mezzo anche una questione più spinosa: alcune carte, valutate troppo potenti, erano state messe fuori stampa, ma erano rimaste legali da usare nei tornei.

Fra di esse c’erano i cinque “Mox” e il celebre “Black Lotus” ,

capaci di accelerare in modo clamoroso l’apertura, e tre carte blu di spropositata forza: il “Time Walk”, che garantiva un turno extra; il “Time Twister”, che faceva rimescolare grimorio e cimitero e rendeva sette carte a testa ai due contendenti; il semplice e squilibrante “Ancestral Recall”, che faceva pescare tre carte istantaneamente. Insieme formavano le famigerate “Power Nine”, essenziali per avere un mazzo davvero competitivo.

 Se Magic è durato venticinque anni, a dispetto degli infiniti cloni e franchise venuti a insidiarne il primato, è proprio perché, dopo un successo iniziale folgorante, ha saputo cambiare e aggiornarsi, oltre che professionalizzarsi.